L'Intervista Federico Buffa: “L’immagine di Michael Jordan è ancora potentissima”

Federico Buffa: “L’immagine di Michael Jordan è ancora potentissima”

In Sardegna, in anteprima nazionale, il giornalista sportivo di Sky ha presentato "Number 23", un racconto cronologico della storia di una delle figure più iconiche dello sport mondiale

Foto e strette di mano all’ingresso del teatro poco prima che inizi il suo spettacolo: così Federico Buffa ha accolto i fan e appassionati di basket nel suo tour in Sardegna. Nel quale, in anteprima nazionale, ha presentato “Number 23“, un racconto cronologico della storia di Michael Jordan.

Un viaggio personale e sportivo accompagnato da Alessandro Nidi al pianoforte e da tante foto. Tempio, Oristano e San Gavino Monreale hanno accolto con entusiasmo la vita e gli splendori di una delle figure più iconiche della storia dello sport mondiale.

Un viaggio che il giornalista ha raccontato anche a Cagliaripad.

Chi è stato Michael Jordan?

È stato il più innovativo atleta della seconda metà del ‘900. Ha ridefinito il concetto. Fino alla sua comparsa, mai nessun atleta era stato considerato un brand. Nel 1984 sul mercato americano escono due prodotti: Macintosh (che poi diventerà Apple) e le Air Jordan della Nike. Nessuno avrebbe pensato che avrebbero impattato così tanto nella nostra quotidianità. Mentre nel caso di Steve Jobs ci sono state persone che hanno proseguito la linea che aveva indicato. Jordan ci parlò della sua legacy perché lui avrà pure smesso di giocare da vent’anni ma le sue scarpe sono ancora oggi le seconde scarpe più vendute nel mondo. E’ un uomo che sta espandendo il proprio tempo molto al di là del suo lato agonistico. Pur non essendo visibile. Eppure la sua presenza è immanente. Nessuna celebrità può permettersi un passato e un presente come il suo. In più ha ridefinito un atletismo legato allo sport. Questa plasticità, questa eleganza, questa idea dell’uomo volante l’ha fatto diventare qualcosa di artistico. Lo si deve soprattutto al suo gente e alla campagna della Nike che lo mostra come un uomo capace di vivere uno o due metri sopra il resto dell’umanità. La sua immagine è ancora potentissima.

Che effetto fa riprendere la storia di Jordan e portarla a teatro?

Notevole perché è una tentazione forte. Nel senso che in questo spettacolo mi concedo un lusso che non mi sarei concesso da altre parti. Io sono testimone oculare di tanti degli eventi che narro. Io c’ero mentre succedevano. Mi permetto qualche osservazione come se fossi ancora in campo a vedere. E’ un piccolo vezzo, metto dentro delle parti del mio amore per l’Nba. Nel 1985 ho accolto Michael in arrivo a Malpensa come una sorta di interprete assieme a Enrico Campana della Gazzetta dello Sport che voleva essere sicuro di comprendere tutte le cose che avrebbe detto. Io l’ho conosciuto e ci hanno fatto una foto assieme. Io quella foto l’ho custodita gelosamente e quando ho lavorato con la Nba l’ho consegnata ai Chicago Bulls e me la sono fatta firmare.

I due momenti topici di Jordan possono essere la strepitosa gara dei playoff in condizioni fisiche difficili per una intossicazione e The Last Shot, il tiro che consente ai Bulls di vincere il sesto anello. Ci sono altri momenti che rimangono?

Tutta l’ultima parte dello spettacolo si basa proprio su quei due momenti storici. Vissuti peraltro quasi sul campo, perché a Salt Lake City la distanza della tribuna stampa era all’altezza di un canestro. Gara 5 del 1997 e gara 6 del 1998 sono le ultime due storie che racconto. Altri momenti? Sì, ricordo la prima volta che l’ho visto giocare dal campo. Non ero ancora in grado di avere degli accrediti Nba ma Virginio Bernardi aveva un suo ex giocatore nei Bulls. E quindi riuscì a farsi dare dei biglietti. Per la prima volta l’ho visto giocare in campo. Di fatto gioca 39 minuti e ne passa 30 sopra il ferro. Tu lo vedevi saltare continuamente sopra il ferro. Io lo guardavo e dicevo: ma come fa? Quaranta o cinquanta salti sopra il ferro sono anche quaranta o cinquanta atterraggi. Come fanno le sue ginocchia a sopportare questo suo modo di giocare? Nessuno aveva quella capacità. Una sua partita era inebriante, soprattutto negli anni ’80.

Jordan, nel suo modo di intendere lo sport, ha influenzato tantissimi sportivi. Kobe Bryant nel basket e Cristiano Ronaldo nel calcio certamente hanno accolto la sua attitudine..

Kobe, anche se avesse provato a nasconderlo, sarebbe stato scoperto. Ronaldo è stato certamente ispirato da Jordan. Una attitudine per cui non si è mai lavorato abbastanza e devi alzare continuamente l’asticella. Continuare a bruciare ti permette di stare al top per così tanto tempo. Alla fine Cristiano Ronaldo terminerà la carriera come il miglior marcatore di ogni epoca per calcio di club e squadre nazionali. Per arrivare lì è evidente che ha assimilato l’esempio di chi ha tracciato la strada. Jordan più di tutti. Cioè una sacralità data al proprio corpo più di ogni altra cosa. Devi avere una mentalità ossessiva come la loro, un istinto “assassino” per poter essere vincente.

Qual è stato il responso del pubblico sardo?

Ho debuttato con questo spettacolo a Tempio Pausania. Tante signore mi hanno fatto sorridere: si aspettavano una commedia.. (ride, nda). Dopo tutto se vedevi il cartellone, su cinque spettacoli, quattro erano di prosa di altissimo livello. Capisco la signora! Era ovvio che sarebbe stato shockante. E’ venuta comunque tanta gente in tutte le tappe. Tanti ragazzi, molto interessati. E’ stato piacevole. Ho parlato con molti di loro a livello scolastico e ho notato che sulla crescita di Jordan e sul suo rapporto con i genitori avevano tante domande.

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